| Concordo: dimenticare è come uccidere due volte le vittime dell'Olocausto.
Ecco un estartto della prefazione di Natalia Ginzburg al Diario di Anna Frank, che mi ha commosso e fatto riflettere.
Il diario di Anna Frank ha inizio nel giugno 1942. Nel giugno ’42, la sua vita presenta ancora qualche rassomiglianza con la vita d’una qualunque ragazzina dell’eta sua. Ma siamo ad Amsterdam, l’Olanda è in mano ai tedeschi da due anni; e le SS vanno per le case cercando gli ebrei. A tredici anni appena compiuti, Anna conosce e parla con estrema naturalezza il linguaggio dei perseguitati: sa che lei e i suoi debbono portare la stella giudaica, che non possono frequentare locali pubblici, che non possono prendere il tram. Dall’invasione tedesca «i bei tempi sono finiti», scrive Anna nel suo diario; ma «finora per noi quattro è andato discretamente bene». La guerra, le privazioni alimentari, i tedeschi e il pericolo, tutto questo Anna nel giugno ’42 può ancora dimenticarselo ogni tanto, e vivere abbastanza gioiosamente mangiando gelati, volteggiando in bicicletta, flirtando con i compagni, studiando la mitologia greca; fino al giorno in cui tutta la famiglia Frank si trasferisce nell’«alloggio segreto», per sfuggire ai tedeschi e tentare di salvarsi. Annelies Marie Frank nacque il 12 giugno 1929 a Francoforte da una agiata famiglia di ebrei tedeschi. Dopo le leggi razziali fu costretta a emigrare in Olanda con la famiglia. In seguito a una segnalazione, nel 1944, la polizia nazista arresto i Frank, che furono condotti ad Auschwitz. Anna morì nel marzo del 1945, poche settimane prima dell’arrivo degli inglesi. «E' un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo...» Il Diario di Anna Frank, trovato nell’alloggio segreto e consegnato dopo la guerra al padre, unico superstite della famiglia, fu pubblicato per la prima volta nel 1947, ad Amsterdam. A distanza di anni, continua a essere la lettura più sconvolgente sull’incubo nazista.
Anna ha un’intelligenza penetrante e precoce; un occhio critico a cui non sfugge nulla. Ha il dono dell’ironia, la facoltà di raccontare cogliendo le cose nella loro sostanza. Nelle sue mani, il diario diventa dunque lo specchio fedele della vita di questa piccola comunità in clausura: una comunità ben definita e riconoscibile in ogni suo particolare sociale, individuata con costante freschezza; a nessuno e risparmiato l’aspro giudizio di Anna, eppure tutti appaiono nella loro sostanza umana più indifesa e pietosa, e li sentiamo cosi vicini a noi che a lungo li seguiamo col pensiero oltre le pagine del diario, nei campi dove sono morti. Dopo la lettura del diario di Anna (gli abitanti dell’«alloggio segreto» non si sono salvati), questo «alloggio segreto» con le sue scale e scalette e le stanze buie dai fitti tappeti e i massicci mobili d’ufficio mischiati alle masserizie, ci sta davanti con una forza ossessiva, come un grande trappola: per due anni, la famiglia Frank, la famiglia Van Daan e il dentista Dussel vi hanno abitato senza uscirne mai, senza mai affacciarsi alle finestre, visitati soltanto dai fedeli amici che conoscono il segreto dello scaffale girevole, che portano dall’esterno cibo, libri, notizie; vi hanno abitato raschiando e cucinando patate, litigando, ascoltando la radio inglese, fra alternative di paura e speranza; ossessionati dalle privazioni alimentari, dalla noia, dai mille problemi d’una forzata clausura; in questa attesa di adulti snervati che un nulla fa trasalire, Anna è venuta a trovarsi con i suoi propri problemi di ragazzina che cresce e che si trasforma, inevitabilmente sentendosi soffocare fra la mancanza d’aria libera e questi monotoni discorsi d’adulti; sentendosi incompresa e abbandonata a se stessa, con la sua propria paura e la sua propria noia, fra la noia e la paura degli altri. Nel diario, ora si lamenta con quella voluttà di lamentarsi che è propria degli adolescenti, ora critica aspramente i sistemi di educazione dei suoi («non mi trattano mai in modo uguale»). Ora è in rotta con i suoi e con gli altri abitanti dell’alloggio segreto», le sembra di odiare sua madre e ne è stupefatta; ora, di nuovo docile e allegra, di colpo riconciliata con l’esistenza, torna a far parte della piccola comunità e il suo diario è di nuovo fedele cronaca quotidiana, è il giornale di bordo di questa nave immobile nel centro di Amsterdam, che naufraga lentamente senza saperlo. A seguito di una segnalazione spionistica, il 4 agosto 1944 un tedesco e quattro olandesi della polizia nazista fecero irruzione nell’alloggio segreto: tutti i rifugiati clandestini furono arrestati, mentre 1’alloggio fu perquisito e saccheggiato dalla Gestapo. Qualche giorno dopo il gruppo dei rifugiati fu avviato a Westerbork, il più grande campo di concentramento tedesco in Olanda.
Il 2 settembre I 944 i Frank furono condotti ad Auschwitz, dove il padre venne separato dalle figlie e dalla moglie, che di lì a poco morì di consunzione. Il 30 ottobre dello stesso anno, Anna e Margot furono aggregate a un convoglio di un migliaio di giovani donne inviate a Bergen Belsen.
Nel febbraio 1945, Anna e Margot furono colpite da tifo, e in marzo Anna morì, pochi giorni dopo la sorella. Tutt’e due furono sepolte in una fossa comune. Circa tre settimane dopo le truppe inglesi liberarono Bergen Belsen.
Il diario di Anna, trovato nell’alloggio segreto e consegnato dopo la guerra al padre, unico superstite della famiglia, fu pubblicato ad Amsterdam nel 1947 col titolo originale Het Achterhuis (letteralmente: Il retrocasa).
(testi tratti dalla prefazione di Natalia Ginzburg al "Diario")
|