Harry Potter e gli anni a venire

Agorà, la storia vera di Ipazia

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view post Posted on 22/4/2010, 12:02
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Sopravvissuto all'Abisso

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Esce domani in Italia, dopo essere stato ampiamente richiesto dal popolo di Facebook, l'acclamato film di Alejandro Amenabar (The others, Mare dentro) Agorà, presentato a Cannes nel 2009 e vincitore di 7 premi Goya (l'equivalente spagnolo dei David di Donatello). Protagonista l'attrice premio Nobel Rachel Weisz nei panni di Ipazia, filosofa e matematica atea nell'Alessandria d'Egitto del IV secolo d.C., un'illuminista molto in anticipo sui suoi tempi si potrebbe dire. In un'epoca in cui la donna era relegata ad un ruolo marginale, in un periodo storico in cui i cristiani avevano acquistato un ruolo di potere all'interno dell'Impero romano, Ipazia contestò apertamente le autorità della religione imperante. Il film è la storia della sua vita, del suo amore contrastato con uno schiavo e della sua atroce fine
SPOILER (click to view)
condannata a morte come eretica dalle autorità cristiane, fu scorticata viva con delle conchiglie affilate e il suo corpo fatto a pezzi
 
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Cassandra Phoenix Nova
view post Posted on 25/4/2010, 06:11




Il film ha il pregio di essere sincero, di non indorare la pillola e di eccedere nell'agiografia di questo o quel personaggio storico: sono tutti esseri umani, con le loro miserie e le loro fragilità.
Il titolo è “Agora” e non è un caso, perché la triste e vergognosa storia di Ipazia è il veicolo per mostrarci uno scorcio di passato che appare presente.
In primo luogo, sappiamo che la dottrina cristiana – lungi dall'essere quella odierna, lungi dall'essere quella del IV secolo d. C. - prese piede fra le classi sociali più umili: schiavi, mendicanti, gente ridotta alla fame, era una parabola molto rassicurante quella di un dio che proclama l'uguaglianza, la pace interiore per portare amore, giustizia ed armonia al prossimo, per spezzare la catena di violenza con il perdono... Tutta questa parte, purtroppo, si perse e questa gente si trovò con dei nuovi sacerdoti, delle leggi morali che davano loro il diritto di rivendicare la dignità di esseri umani, non di schiavi “benvoluti” ma di uomini e di donne. Erano persone arrabbiate, offese, facilmente indirizzabili e capitò qualcosa che con la dottrina cristiana aveva poco a che spartire.
Ritorna la domanda: perché intitolarlo “Agora” e non “Ipazia”?
Perché l' agorà e la biblioteca, così come altri luoghi, erano preclusi alle classi sociali indigenti, che erano la maggioranza.
Entrare con furia nell' Agora, rivendicare tutto il diritto di essere lì, da uomini, da persone e non da schiavi o pezzenti era uno sfogo liberatorio e così come sarebbe accaduto in futuro, così come è accaduto in passato, la situazione esplose travolgendo anche gli innocenti.
Lampante la scena in cui viene distrutta la statua del Aristotele, un grande filosofo che teorizzò la sudditanza mentale degli schiavi.
Non è una giustificazione, né il regista ne concede ma è una chiave di lettura per comprendere in quale mondo vivesse Ipazia, per mostrarci quanto potesse essere contraddittorio: possedere un uomo eppure amarlo, rispettarlo, trattarlo con dolcezza; abbracciare una dottrina religiosa per il riscatto sociale; cadere nuovamente in meccanismi rodati e ritrovarsi comunque con dei sottomessi e degli aguzzini.
In secondo luogo, Ipazia è stata quasi una martire, un simbolo, immolata come la Biblioteca (che se ci penso, ancora oggi mi viene da piangere), come il suo mondo che andava cambiato e chiedeva un alto tributo di sangue ed orrore.
La figura di questa grandissima donna merita un'analisi molto profonda, l'umiltà del regista mi è piaciuta: non ha lasciato intendere che quella fosse la sola Ipazia possibile, ma che in ogni creatura che rivendica la sua libertà di pensiero ed opinione, che vive con coerenza andando incontro alla fine senza smentire un dignità incrollabile c'è un' Ipazia. Dentro ogni persona che cerca delle risposte, che si pone delle domande, che si mette in discussione c'è un' Ipazia.

Menzione speciale per splendida sequenza dove l'apparente serenità dell'Universo smorza l'eco delle battaglie.
 
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view post Posted on 26/4/2010, 12:22
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Sopravvissuto all'Abisso

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Un bel film. Brava la Weisz e bravi gli sceneggiatori nel tratteggiare l'epoca storica della pellicola ed i personaggi di contorno, con le loro ipocrisie e loro metamorfosi. Ottima l'idea delle riprese dall'alto via satellite, consone ad un personaggio così interessato al cosmo (Ipazia fu filosofa, matematica, astronoma, purtroppo di lei non è sopravvissuta alcuna opera). Mi è piaciuto questo ritratto femminile, da un certo punto di vista trovo che sia stata tratteggiata come una figura geniale, ma in fondo anche disadattata rispetto alla realtà che la circondava: come Archimede, mentre intorno a lei c'è la guerra e la sua vita è in pericolo, il suo principale pensiero rimane la determinazione del moto degli astri. Forse una persona meno geniale ma più pragmatica se la sarebbe squagliata da Alessandria o avrebbe accettato una conversione ipocrita pur di salvare la pelle. Ma il bello di certi personaggi sta nel loro rifiuto di scendere a compromessi e di barattare gli ideali, anche a costo della vita.
Il finale mi risulta edulcorato
SPOILER (click to view)
nei mesi scorsi ho letto più e più volte del supplizio a cui fu sottoposta Ipazia, mentre nel film lo schiavo Davo le concede una morte pietosa soffocandola e risparmiandole i supplizi che le avrebbero riservato i parabolani. Forse è una scelta registica per sottolineare l'amore dell'ex-servo per la sua padrona.
 
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2 replies since 22/4/2010, 12:02   43 views
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